Francesco Rota. Ho imparato a disegnare facendo prototipi in bottega

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Un ritratto di . Milanese, classe 1966, appassionato di sport acquatici, ha il suo studio a dal 1998

 

Riservato e lontano dai riflettori, sembra quasi evitare il centro dell’attenzione. Tuttavia, Francesco Rota, nato nel 1966, con uno studio a Milano dal 1998, offre una disponibilità rara nel raccontare la propria storia. «È vero che nuoto un po’ controcorrente, ho un trascorso legato al mondo della moda e ricordo sempre che Martin Margiela pubblicava ora e luogo delle sue sfilate a Parigi tra i necrologi. Era una strategia promozionale che ammiravo molto, ma forse io sono solo un cattivo comunicatore, e infatti non amo i social e non promuovo la personalizzazione che oggi sembra avere tanto successo. Ammetto, certo, che raccontarsi oggi è fondamentale, ma io vedo il lavoro come un atto pratico», afferma. E ha realizzato molto. Ad esempio, in un periodo in cui si discute incessantemente di outdoor, si scopre che Rota è stato uno dei pionieri nell’unire interno ed esterno.

«Lo devo alla mia casa al mare di Zoagli, in Liguria, al tempo trascorso all’aperto nel vasto giardino, alla mia passione per gli sport acquatici. Sono già trascorsi 25 anni da quando, insieme a , che allora progettava e realizzava solo tappeti di lana, iniziammo a ideare imbottiti. Nacque così la chaise-longue Linea, praticamente un’onda poggiata a terra, che mi ha poi spinto a riflettere su come progettare per un settore che all’epoca non aveva alcuna presenza. “Creiamo un mondo all’aperto”, mi sono detto. E ho cominciato a intrecciare le scotte, le corde utilizzate per le imbarcazioni, realizzate con un materiale resistente ai raggi UV, all’acqua salata e dolce, molto durevole alle intemperie, e con una gamma di colori infinita».

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La serie di sedute e divani Island, disegnata da Rota per Paola Lenti nel 2004, è stata tra i primi progetti pensati per l’outdoor

 

Attenzione e ricerca dei materiali, senza timore nell’utilizzo dei colori, e una “mano asciutta” svincolata dalle mode del momento come lui stesso la definisce, sono diventati il marchio di fabbrica del suo design.
Un linguaggio e un atteggiamento che oggi, dopo la conclusione del rapporto decennale con La Palma, lo hanno portato a prendere la direzione artistica di , per cui ha anche progettato il nuovo tavolo Heb.

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Il tavolo Heb che Francesco Rota ha disegnato per Desalto. Un’estetica industriale pensata anche per gli spazi domestici

 

«Amo instaurare alleanze durature con chi collabora con me», prosegue Rota. «Questa è una nuova sfida, che ho avviato orientandomi verso un ritorno alle origini, che per l’azienda di Cantù significa principalmente lavorazione del metallo. Una vocazione che va valorizzata ampliando la gamma di prodotti, creando nuove finiture e verniciature, e sperimentando metalli e leghe in modo innovativo». The Blue Chapter, così è stato intitolato il nuovo percorso avviato da Rota, trae ispirazione dal blu cobalto delle sfumature del metallo stirato, simile alle superfici riflettenti degli anni Trenta utilizzate come decorazione, che il designer milanese ha riproposto nella nuova collezione.

«Sono un appassionato collezionista, frequento mercatini e case antiche alla ricerca di oggetti del passato per trovare ispirazioni e trucchi anche funzionali, come lo scompartimento per le bottiglie che ho scoperto nascosto in un mobile… D’altra parte, i miei studi, che ho iniziato tardivamente (22 anni, ndr), sono stati orientati alla praticità. All’Art Center College of Design di La Tour de Peilz, in Svizzera, creavo prototipi, c’erano laboratori per cimentarsi con il lavoro manuale, già all’epoca facevamo visite agli impianti di riciclaggio per sensibilizzarci contro lo spreco».

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I paraventi Kiori, disegnati per Paola Lenti da Rota nel 2023.  Foto @Sergio Chimenti

 
Un’estetica laboratoriale che si percepisce nel suo ultimo tavolo il cui nome, Heb, è derivato da un tipo di putrella. «Oltre a dichiarare la sua estetica industriale, con questa struttura il tavolo può diventare un modulo ripetibile e può essere collocato sia in ambienti domestici che, replicato, in spazi pubblici come coworking o locali».

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