Torna a crescere lo smart working. Resta il problema della disconnessione
MILANO – Lo smart working è deceduto, lunga vita allo smart working. Mentre negli Stati Uniti si fanno sentire i richiami al ritorno in ufficio, dalle banche in giù, in Italia il lavoro agile sta vivendo una ripresa. A evidenziarlo è il consueto rapporto degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, che riporta come nel 2025 siano 3 milioni e 575mila i lavoratori che per almeno una parte del loro tempo operano da remoto, +0,6% rispetto all’anno precedente. Questo dato rimane comunque ben al di sotto del picco massimo raggiungibile, considerando che il 21% di chi non lavora da remoto afferma di poter svolgere almeno la metà delle proprie attività al di fuori dell’ufficio e che durante la pandemia si è arrivati a un picco di 6,5 milioni di smart worker.
Analizzando comunque la recente crescita, il settore pubblico è il principale motore con un incremento dell’11 percento: attualmente 555mila persone lavorano in smart, corrispondente al 17% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. C’è un aumento anche nelle grandi aziende (+1,8%), dove oggi il 53% del personale lavora da remoto (1.945.000 persone), mentre le piccole e medie imprese mostrano un andamento opposto: qui i lavoratori da remoto diminuiscono notevolmente (-7,7% nelle Pmi, -4,8% nelle microimprese) rappresentando solo l’8% del totale.
La divisione tra grandi e piccole imprese è evidente. Il Politecnico segnala infatti che praticamente tutte le grandi imprese italiane (95%) hanno attivato iniziative di smart working. Anche un’amministrazione pubblica su tre (67% con un incremento di sei punti rispetto al 2024) lo fa “quasi sempre con progetti strutturati nei quali sono definite politiche o linee guida. Tra le Pmi, solo il 45% (8 punti in meno rispetto al 2024) adotta tali pratiche, soprattutto attraverso una gestione informale, dove la flessibilità deriva da accordi diretti con il responsabile”.
Nell’analisi, il lavoro agile è ormai un trend consolidato dopo il Covid, non caratterizzato da estremi ma premiato nel suo modello “ibrido in cui lavoro in presenza e da remoto si alternano in base ai bisogni personali e organizzativi, seguendo politiche o linee guida stabilite dall’organizzazione”.
Non è ovviamente tutto “rose e fiori” per chi lavora in smart e infatti la difficoltà a “disconnettersi” si conferma essere una particolare criticità per chi fa Smart Working. Tra i lavoratori impiegati, il rapporto indica che il 35% di chi lavora da remoto è soggetto a overworking rispetto al 30% di coloro che lavorano sempre in sede. Ancora meno della metà delle grandi aziende (49%) ha implementato misure di protezione di questo tipo, principalmente fasce orarie in cui i dipendenti non sono raggiungibili. “Iniziative più drastiche, come la sospensione delle attività dei server all’interno di una fascia oraria (2%) o il divieto di inviare comunicazioni in particolari orari o giorni (8%), sono meno comuni”. Nel settore pubblico, il 78% delle amministrazioni che hanno in atto iniziative di lavoro agile adottano misure per proteggere il diritto alla disconnessione.