Metalmeccanici pagati 9.620 Euro in Meno Se Passa la Riforma dell’Artigianato: la Denuncia di Confapi
La riorganizzazione del settore artigianale ritorna al centro della discussione politica e sindacale. La legge delega, attualmente oggetto di dibattito, si propone di trasformare profondamente la legge quadro del 1985, introducendo per la prima volta la possibilità che un’azienda con un massimo di 49 collaboratori sia considerata artigianale. Allo stato attuale, un’impresa con tale numero di addetti può essere solamente industriale o commerciale, poiché il limite per l’artigianato varia tra gli 8 e i 32 dipendenti a seconda del comparto e della classificazione.
L’aumento del limite massimo genererebbe conseguenze immediate su stipendi, oneri sociali, agevolazioni e competizione. E secondo Confapi, che rappresenta la piccola e media impresa, si tratterebbe di una riforma con implicazioni molto pesanti: nel settore metalmeccanico un dipendente che passasse dal contratto industriale a quello artigiano vedrebbe ridursi il proprio stipendio di 9.620 euro lordi all’anno. Lo ha messo in luce un’analisi pubblicata sul Corriere della Sera, dove il presidente di Confapi Cristian Camisa illustra ad uno ad uno gli impatti negativi della misura.
Stipendi inferiori: il punto cruciale della disputa sono i 9.620 euro lordi in meno
L’articolo del Corriere della Sera, a firma di Rita Querzè – giornalista che anche in passato ha affrontato tali questioni, riporta fedelmente le cifre indicate da Confapi:
«Nel settore metalmeccanico le imprese artigiane retribuiscono i lavoratori con 9.620 euro lordi in meno all’anno rispetto a quelle della piccola industria», afferma Camisa, che tuttavia non motiva né elabora il suo calcolo.
Si tratta di una differenza che, a parere di Confapi, nessun lavoratore accetterebbe di sua spontanea volontà. E infatti Camisa aggiunge:
«Le imprese della piccola industria non possono diminuire gli stipendi, e nessuno potrebbe propormi il contratto dell’artigianato ai nuovi assunti. Ovviamente, per risparmiare».
L’elevazione del limite a 49 dipendenti consentirebbe a molte imprese, oggi classificate come industriali, di rientrare nel contesto artigianale, con la conseguenza — avverte Confapi — di una diminuzione generalizzata del costo del lavoro a discapito di salari e garanzie.
Minori entrate per lo Stato: “Il gettito si ridurrebbe di 1,43 miliardi all’anno”
Il Corriere riporta anche un secondo punto fondamentale evidenziato da Camisa: l’impatto sulle finanze pubbliche.
Secondo Confapi, la riduzione dei salari determinerebbe automaticamente una flessione dei contributi INPS e delle imposte collegate versate allo Stato. Camisa spiega:
«Secondo le nostre valutazioni, l’erario incasserebbe alla fine 1,43 miliardi di versamenti in meno all’anno».
Per il presidente di Confapi, se il governo ritiene che il Paese possa rinunciare a una somma di tale entità, quelle risorse dovrebbero quanto meno essere investite «per velocizzare la digitalizzazione delle piccole imprese, artigiane e non», invece di alimentare un divario salariale e contributivo.
Le facilitazioni artigiane e la concorrenza falsata
Il terzo elemento di critica concerne il mercato e gli equilibri competitivi.
Camisa fa notare che attualmente gli artigiani beneficiano di agevolazioni fiscali e contributive di cui le imprese industriali non godono. Se il limite venisse innalzato a 49 dipendenti, molte realtà strutturate potrebbero usufruire di tali condizioni più favorevoli, alterando la concorrenza.
Il presidente Confapi è esplicito sull’argomento:
«Se si confronta l’impresa artigiana con la piccola impresa si genera una distorsione della concorrenza dovuta al fatto che gli artigiani hanno tutta una serie di agevolazioni che gli altri non hanno. Pertanto, queste agevolazioni andrebbero eliminate».
Il Corriere rammenta che anche Confindustria ha manifestato preoccupazione verso la riforma e che i sindacati confederali hanno espresso il loro dissenso al governo.
Il paragone con Francia e Germania secondo Confapi
I sostenitori della riforma affermano che l’innalzamento del limite a 49 dipendenti significhi avvicinare l’Italia ai modelli europei. Ma Confapi confuta tale interpretazione.
Nell’intervista riportata dal Corriere, Camisa spiega:
«Non è un confronto appropriato. In Francia vige il limite dei 10 dipendenti, mentre in Germania non ci sono limiti, ma le specificità professionali sono ben definite: il titolare di un’impresa artigiana deve essere un maestro artigiano».
Per Confapi, dunque, l’Italia rischia di introdurre un modello che non replica né quello francese né quello tedesco, e che anzi amplia in modo incongruente la definizione dell’artigianato.