“I progetti impossibili ci piacciono di più”: l’anniversario di Molteni&C
personaggi
Carlo Molteni con La cabina dell’Elba, celebre armadio di Aldo Rossi (foto Nicola Marfisi – Agf)
Quando lo interroghi riguardo a suo padre Angelo, il fondatore dell’azienda che festeggia 90 anni, gli occhi azzurri di Carlo Molteni scrutano un punto remoto all’orizzonte. «Mi ha trasmesso l’ossessione per la qualità. Ogni particolare deve essere realizzato al massimo delle potenzialità. Quando mio padre entrava nel reparto montaggio per controllare, aveva uno sguardo d’acciaio, temutissimo da tutto il personale. E prima ancora che esaminasse i prototipi, il caporeparto lo anticipava: “Sì, lo so, questo pezzo lo dobbiamo ancora perfezionare, quel dettaglio va sistemato… Questa ossessione continua a essere il nostro credo aziendale immutato».
Conosco Carlo Molteni da molti anni e ciò che ammiro di più in lui è la passione con cui pone sempre al centro il prodotto, e con cui affronta le sfide che molti progettisti e designer gli propongono, con idee brillanti che, talvolta, non riescono a trovare il percorso che collega intuizione e realizzazione.
1947: la prima foto ufficiale della Molteni con le maestranze. Il primo a sinistra in piedi è il fondatore Angelo Molteni. Seduto davanti a lui, un giovanissimo biondo e riccioluto Carlo Molteni
«La Molteni delle origini produceva mobili in stile, come tutti all’epoca. La svolta avviene nel 1955, quando a Cantù, cuore della produzione del mobile, si organizza il Concorso internazionale del mobile per la prima Mostra Selettiva, con l’obiettivo di riqualificare l’immagine del distretto. I signori di Cantù probabilmente pensano di premiare qualche loro concittadino, ma per la giuria scelgono nomi come Gio Ponti, Carlo De Carli, Alvar Aalto, e le cose si svolgono diversamente».
La giuria conferisce 36 premi, facendo chiaramente intendere che la via per il rinnovamento passa attraverso il mobile moderno.
«Desidero ricordare il riconoscimento che abbiamo ricevuto con il cassettone di Werner Blaser. La Molteni&C incoraggia altri produttori a confrontarsi con quella che, all’epoca, era definita “la battaglia tra il mobile in stile Brianza e il moderno”. Di design non si parlava ancora, ma quell’evento ha anche il merito di stimolare la nascita della scuola per falegnami di Cantù, che ha formato molti abili artigiani del legno. Nel frattempo, nel 1961 siamo tra le sedici aziende fondatrici del Salone del mobile, di cui continuiamo a essere orgogliosi sostenitori. Mio padre è curioso, aperto a proposte e collaborazioni. Si fanno esperimenti, ma sono i sistemi componibili a segnare il cambiamento con i progetti di Angelo Mangiarotti e Luca Meda».
È nel 1968 che la produzione si ristruttura per realizzare mobili moderni. Una vera rivoluzione. «L’unica che conosca. L’altra, quella del movimento giovanile, la percepisco solo quando, già laureato, nel 1969 mi trovo a Parigi per visionare quello che sarebbe diventato il nostro negozio, in rue des Saints Pères, e mi imbatto in una manifestazione impressionante di studenti in protesta».
Avete collaborato con tantissimi grandi autori. Qualche ricordo?
«Tobia Scarpa: mio padre lo apprezzava molto. Un giorno estrae dalla borsa un foglio bianco, ci disegna qualcosa in due minuti e ce lo consegna: è il tavolo Mou, che dal 1974 sarà uno dei nostri maggiori successi per circa vent’anni. A fine anni Sessanta arriva Luca Meda, noto per il suo carattere riservato. Con noi si scioglie, diventa parte della famiglia, ama persino fare scherzi ai miei figli. All’inizio si ostina sul mobile Iride, molto colorato, che però non vende, probabilmente perché troppo in anticipo sui tempi. Non si dà per vinto. Lui, che ha studiato alla scuola di Ulm, va in fabbrica, parla con gli operai per capire. La sua grandezza consiste nel voler rispondere alle esigenze del pubblico, il che lo porta a ideare mobili di grande successo, come Piroscafo e soprattutto il sistema 505. Jean Nouvel, progettata la Fondation Cartier, viene da noi; ho creato un edificio trasparente, tutto vetro, non posso mettere una scrivania qualunque. Deve essere così: e ci mostra una busta da lettere. È l’origine di Less, del 1993, con un piano sottilissimo la cui rigidità è ottenuta piegando la lamiera di alluminio secondo piani inclinati. A volte i nostri dialoghi sono scherzosamente surreali. Quando gli chiediamo di progettare una libreria, dice: va bene, ma non deve toccare terra. Obietto: con tutto il peso che deve sostenere? Commenta: vengo dalla Boeing, gli aerei pesano decine di tonnellate ma stanno in aria. Replico: ma hanno il motore! Alla fine riusciamo a realizzare Graduate, cavi di acciaio fissati al soffitto lungo i quali scorrono gli scaffali, che si bloccano all’altezza desiderata con un meccanismo di nostra invenzione».
Un ritratto di Jean Nouvel dal libro Molteni Mondo: An Italian Story, edito da Rizzoli New York (foto Jeff Burton)
Le creazioni odierne sono motivo di orgoglio tanto quanto quelle passate. «In particolare, la sedia Porta Volta, progettata da Herzog e De Meuron per la National Library di Gerusalemme, dove abbiamo anche realizzato una scala a spirale in legno di ampie dimensioni, quasi un’impresa impossibile. Anche la sedia ci ha dato non poco da fare: 17 prototipi, primo arredo per un progetto specifico che gli architetti hanno autorizzato alla produzione in serie; stiamo lavorando molto anche con Michael Anastassiades, sottolineo le forniture per le navi, in particolare per quei boutique hotel che sono i nuovi yacht Explora di Msc…».
Il settore delle forniture chiavi in mano, il contract, è di grande importanza, avviato nel 1979 con «due ambasciate francesi in Arabia Saudita e un grande hotel in Egitto: con queste due esperienze, di fatto, è iniziato il contract anche per Molteni. L’Egitto è stato per noi quello che IBM è stato per Unifor nel 1974. Da una parte si personalizza, dall’altra si standardizza, una duplice attitudine e visione: questo ci ha permesso di sviluppare un metodo di lavoro che richiede elasticità mentale e capacità di adattamento a produzioni diverse, oltre a ottimizzare le macchine con produzioni di grande volume».
Oggi la Molteni&C, insieme a Unifor e Citterio, forma un gruppo da 475 milioni di euro, la matrice familiare delle origini è rimasta, ma si è evoluta in una struttura manageriale con un ceo, Marco Piscitelli, che è anche direttore generale di tutte le aziende del gruppo, per garantire una visione coerente e sinergica.
La famiglia è ben rappresentata: Carlo Molteni è presidente e ceo di Molteni Group, sua figlia Giulia guida il marketing e la comunicazione del gruppo, mentre il figlio Giovanni e il nipote Andrea sono vicepresidenti di Molteni&C. La produzione, distribuita su cinque sedi, è ancora interamente in Italia, a Giussano (la filiera è davvero corta: il 90 per cento si trova in Brianza), con oltre 1.200 dipendenti, mentre la distribuzione, forte di 700 punti vendita e 100 flagship store e di un programma di prossime aperture, raggiunge più di cento Paesi.
«Oggi l’ecosostenibilità è una priorità», ci tiene a evidenziare Carlo Molteni. «Un obiettivo pressante, per noi e per le aspettative dei nostri stakeholder. I miglioramenti sono costanti, dall’energia pulita e rinnovabile – abbiamo un impianto per il fotovoltaico – alla riduzione dei rifiuti e al riciclo; l’anno prossimo presenteremo il primo bilancio di sostenibilità. I principi ESG (environmental, social, governance) sono per noi un aspetto chiave di crescita». Tutto lodevole e molto affascinante. Ma, diciamolo: gli occhi azzurri di Carlo Molteni cominciano a brillare davvero solo quando scorgono la nuova sfida di un oggetto che sembra impossibile.